lunedì 28 febbraio 2011

Struttura insediamento longobardo

In uno splendido libro, trattante le varie tipologie insediative e costruttive delle varie popolazioni barbariche, "Edilizia residenziale tra V e VIII secolo", a cura di Gian Pietro Brogiolo, sono venuto a conoscenza dei fondamenti di un abitato longobardo, di cui qui espongo. Innanzi tutto, un passo importante consiste nell'analisi dei vari corpi di leggi delle varie popolazioni barbariche, finalizzate soprattutto alle questioni private, dalla proprietà al regime di vita quotidiana; naturalmente, le più importanti leggi longobarde vennero redatte dal re Rotari nell'omonimo Editto nel 643, anche se ne succedettero altri quattro, ciascuno dei quali identificato con il corrispettivo re (Grimoaldo, Liutprando, Rachis e Astolfo). Economicamente parlando, i Longobardi, proveniendo da territori particolarmente ricchi di animali e alberi da frutto (quali, in primis, la Pannonia, corrispondente alle odierne Ungheria-Romania, e in secundis dalla Germania settentrionale), erano dediti ad uno stile di vita di tipo silvo-pastorale; si assiste di qui ad uno sfruttamento delle principali risorse ambientali (non praticando l'agricoltura), sfruttamento che rappresenta l'oggetto principale di numerose leggi longobarde, alcune delle quali vertevano alla regolamentazione della caccia, della pesca, dell'allevamento, ecc... L'elemento principalmente usato per la costruzione delle abitazioni loro era il legno, molto più frequente della pietra e di facile reperibilità, oltre che utilizzo. Era , il legno, un elemento talmente importante per i Longobardi (e non solo) da far stipulare delle leggi giudiziarie circa il suo furto: riporta, a tal proposito, il volume una legge, secondo cui "si quis de lignamen adunatum in curte aut in platea ad casam faciendam furavit" (cioè "se qualcuno, per costruire una casa, avrà rubato del legname, essendo stato depositato nella corte [ovvero lo spiazzo intorno al quale venivano innalzate le abitazioni] o nel cortile") dovrà pagare 6 soldi. Pur se rarissimi, esistono dei casi in cui alcune costruzioni longobarde risultavano rese mediante l'utilizzo di pietre: queste erano esclusività di personaggi di rango sociale superiore, costruite da parte dei cosidetti "magistri commacini", scultori, architetti, stuccatori solitamente raggruppati in corporazioni. Un esempio tutt'ora presente può essere benissimo la Cappella Longobarda, a Cividale del Friuli, o anche il campanile del duomo di Modena che, secondo alcuni, altro non sarebbe che la torre del palazzo della regina longobarda Teodolinda, vissuta dal 570 al 627. Il villaggio longobardo risultava essere molto piccolo, dunque, con capanne in legno e paglia, a volte la paglia veniva impastata con fango ed il tutto veniva fatto essiccare al sole per costituire le mura; le abitazioni erano in media lunghe circa 70 metri, a volte costruite su di un piccolo solco profondo dai 40 ai 70 cm fungente come "fondamenta", in tipico stile "long haus" germanica. Al centro del villaggio c'era la "curtis", il cortile principale intorno al quale sorgevano le case, intese come "clausurae", cioè come un mondo chiuso, una realtà a sè stante in cui l'unico protagonista era il capo famiglia, il cui potere, oltra che dal sesso maschile, nella coppia veniva sottolineato già a partire dal giorno successivo al matrimonio, nell'atto del cosidetto "morgengabe", in cui l'uomo donava alla sposa gli unici averi che avrebbe dovuto tenere nel corso della propria esistenza. Il villaggio longobardo era poi circondato spesso da un recinto, o palizzata, o siepi, che non dovevano assolutamente essere distrutte con la forza (il reato è denominato "horebus"). Tre rubriche dell Editto di Rotari rimandano a tre tipologie di siepi: La 286 richiama una "axegias de sepe", probabilmente uno steccato; la 287 al furto di una "pertica transversaria" ed una "sepe stantaria"; allo stesso tipo di recinsione rimanda la rubrica 303. In ultima analisi, impotante fu l'importanza che veniva data al mulino ad acqua, tanto da presenziare, nella rubrica 150, un caso di "de mulino cappellato", ovvero un caso di distruzione di un mulino. Per rispetto di copyright, sottolineo come queste notizie le abbia tutte prese nel libro "Edilizia residenziale tra V e VIII secolo" a cura di Gian Pietro Brogiolo.

domenica 27 febbraio 2011

Conoscenza topografica del paese


Ovviamente, uno dei compiti principali risulta essere l'analisi topografica del paese, tornando a ritroso nei secoli per identificare, così, le principali zone di abitazione. Ciò è di necessaria importanza in quanto permette di analizzare quali luoghi della collina siano stati da "sempre" concepiti come adatti per delle costruzioni, restringendo ancora maggiormente il raggio d'azione. Seguendo la primaria fonte, il Pastori, si riscontra come, annesso alla chiesa di Sant'Arcangelo, sulla sommità della collina, fosse presente (e lo è tutt'ora) un monastero dei Benedettini il quale, analogamente ad oggi, aveva già il tetto crollato al tempo dell'autore. In seguito recita "A questo contiguo era l'altro Monastero degli Agostiniani colla sua Chiesa, che corrispondeva alla Piazza, il qual monastero esisteva prima del 1259". E' ora di fare una piccola osservazione: nonostante a Montelparo esista tutt'ora un monastero agostiniano, nei pressi del Municipio, esso non consisterebbe nel sopracitato convento, in quanto di origine ben più recente, essendo stata incominciata la costruzione nel 1686. Per poter capire, poi, dove questo monastero avesse sede, basta tener presente fondamentalmente di due elementi: la struttura della collina e i sommovimenti tellurici durant il terremoto del 1703. In base a quest'ultima analisi, espongo qui un paio delle mie conoscenze: in primo luogo, necessita sapere che, prima del terremoto, l'odierna piazza corrispondeva alla zona in cui, adesso, ci sono scivoli e altalene; in secondo luogo, proprio in quel posto, si racconta di come, dopo il terremoto, appunto, alcuni passanti sentissero sottoterra delle preghiere di alcuni monaci che aspettavano inesorabilmente la loro fine.....che si trattassero dei monaci del convento agostiniano cui si riferisce il Pastori ? Io una mano sul fuoco, per ora, ce la metterei. Su questa Piazza era presente anche il pubblico Palazzo, attorno al quale vi erano le principali (ma non esclusive) abitazioni del paese, circondate da una spirale di vie facilmente carrozzabili, le quali erano limitate da due porte, una a nord e l'altra a sud, delle quali oggi resta solo quest'ultima (la porta del Sole). In virtù di queste considerazioni, quindi, ritengo sia molto probabile come la Piazza principale del paese si trovasse difronte all'odierna chiesa di Sant'Arcangelo; per approfondire la questione, occorre però analizzare le tipologie urbanistiche dei paesi, considerando dove solitamente si costruisse la piazza (normalmente, infatti, nella zona più alta), le chiese, ecc. "Tutto ciò formava l'antico castello, ma tutto questo non era Montelparo".
Essendo molte famiglie giunte a Montelparo, forse per necessità di lavoro, forse per la bellezza dl territorio, la morfologia antica del paese non avrebbe sostenuto un ingresso così quantitativo; si sentì, così, la necessità di allargare il paese seguendo una sorta di mezzo cerchio, in quanto partendo da un allargamento a nord-est, ci si estese verso est per, poi, ricadere a sud. A seguito di questo ampliamento urbanistico vennero costruite altre tre porte, una detta di Catigliano in quanto rappresentava il quartiere dove giunsero le famiglie dal vicino castello di Catigliano (distrutto, sul Monte Tondo, nel 1242), un'altra di Catanova che, al tempo del Pastori, coesisteva con quella del Sole e la terza la quale era (ed è) completamente distrutta. In alto riporto la piantina di Montelparo con evidenziate approssimativamente (ma oggetto di studi senz'altro più approfonditi) la principali cerchie murarie dalla più recente (in verde) alla più antica (in giallo).

giovedì 10 febbraio 2011

LETTURA DE "IL PASTORI"

Il Pastori risulta essere senza ombra di dubbio uno dei più importanti, forse il più importante, storici di Montelparo; particolare stima suscita il suo marcato interesse circa l'origine, più o meno eziologica ed etimologica, del paese.
Esponendo delle proprie ipotesi e pubblicando pensieri frutto di anni di studi, il Pastori sostiene con certezza come Montelparo sia stato fondato da un longobardo di nome Elprando; egli definisce, inizialmente, il periodo storico della fondazione all'incirca al IX-X sec. d. C. in quanto, affermando come tale signorotto avesse poi concesso all'abbazia di Farfa i propri terreni in quanto privo di successori legittimi, circoscrive il periodo dopo all' 898, anno in cui l'abbazia di farfa venne spostata dalla sua originaria sede in Sabina a Santa Vittoria in Matenano, a causa delle incursioni saracene, avvenute a partire dal 894-96 sbarcando ad Ostia antica.
Questa considerazione, mirando più a Montelparo, è tanto giusta quanto sbagliata; infatti, come giustamente evidenzia Pastori, i Longobardi non potevano, o meglio, non dovevano possedere alcun tipo di terreno, espressione di potere, dopo la conquista dell'Italia da parte dei Franchi di Carlo magno (che spodestò l'ultimo sovrano longobardo, Desiderio, nel 775 d.C.).
Queste considerazioni, così, portano all'impostazione di Elprando a partire dai primi anni del VII sec, quando gran parte delle Marche erano assoggettate dal Ducato di Spoleto (considerando come il primo duca i Spoleto, Faroaldo I, ci divenne intorno al 578).
A mio personale parere, un passo decisivo dell'opera del Pastori è il seguente "Probabilmente può conjetturarsi, essendo stato costrutto ed edificato Montelparo da un Longobardo, debba esser stato fondato nel VII o nell VIII secolo, allorquando i Longobardi tenevano occupata l'Italia, giacchè intorno all'anno 773 Carlo Magno pose fine al loro regno, distruggendo tuti i loro eserciti e facendo ancor prigioniero l'ultimo loro re Desiderio; è vero che dopo la detta distruzione erano rimasti in ogni parte dell'Italia motissimi Longobardi; onde quando di nuovo li presentò in Italia Adalgifo figlio di Desiderio con numeroso esercito di Greci per riacquistare il regno paterno, che poi fu fatto prigioniero anch'esso, colla sconfitta dell'esercito, da Carlo Magno, dovevan esser tutti i Longobardi esiliati dall'Italia: ma consultando Carlo l'affare col pontefice Leone III prudentemente risolse di tollerarli, a motivo di non tollerare ancora gli Italiani, che eransi congiunti in parentela con i rimanenti Longobardi. Quest'epoca posteriore però non parmi adatta alla fondazione di Montelparo, essendo costrutto da un longobardo".